Morire il 25 aprile
Bertoni Federico
Julien non aveva quella paura che avevano in tanti: non
aveva paura di morire, nemmeno adesso, nemmeno
quando aveva la vittoria tra le mani. Lo disse anche in
seguito, tante volte, quando tutto fu diverso e l'Italia
non diventò quel Paese migliore che avevano sognato:
disse che lui era rimasto lassù: che lui doveva rimanere
lassù. Perché non c'era un dopo, non c'era un futuro, e in
quel momento capì che tutto era finito. Avevano vinto.
«In che rapporto stanno il passato e l'avvenire?
A prima vista, questo romanzo sembra rispondere
che chi non ha memoria, non ha futuro.
Il protagonista indaga su un episodio della Resistenza
che coinvolge la sua famiglia e un amico
appena defunto, molto più anziano di lui. Nel
frattempo, mentre ricerca quell'antica verità,
s'interroga sui tempi che gli si schiudono dinnanzi,
i primi anni Zero del nuovo millennio.
Lo smarrimento della memoria sembra andare
di pari passo con l'incapacità di comprendere il
da farsi. Mettere ordine nella vita di un altro, un
padre putativo, sembra il requisito per orientarsi
nella propria. In realtà, via via che procede, la
vicenda rovescia l'assunto iniziale, ed è chiarendosi
cosa chiedere al domani, che il protagonista
ottiene una risposta dal passato. Trovando il
modo di tenere insieme, in un gesto simbolico
e grottesco, entrambe le dimensioni del tempo.
In quel momento, giunti all'ultima pagina, ci
accorgiamo che ormai tutti gli episodi narrati
sono alle nostre spalle, e che si pone anche per
noi lettori il problema di metterli in prospettiva,
guardando in avanti.
Chi non ha futuro, non ha memoria.»
Wu Ming 2